Ricordo ancora una lezione illuminante di storia dell’Arte in cui il nostro insegnante ci spiegava come il compito degli artisti è sempre stato quello di mostrare all’umanità ciò che è invisibile. Mi sono subito innamorata di questo concetto e da allora lo vado a cercare in ogni cosa. Dagli albori dell’umanità, concetti come la gloria della caccia, la spiritualità, il valore dell’umanità. E, dopo, giocando con il meta, la luce, lo spazio, il concetto di arte stessa. Non sono qui per farvi una lezioncina mappazzona sull’arte, ma solo per raccontarvi quanto i giapponesi mi facciano risuonare questo concetto, più intensamente di molti altri. Ed uso proprio il termine risuonare, perché nel caso di questo specifico libro, lo trovo un termine decisamente calzante.
Spesso compro libri solo perché l’autore è giapponese (tranne quelli che parlano di negozi o di gatti, quelli sono un mio tabù. Un giorno scriverò di questo mio problema). Questa collana della Rizzoli pubblica sempre romanzi molto belli, quindi nemmeno ho letto il titolo e l’ho portato in cassa.
Ho aperto il libro poco dopo, nel giardino di mia madre, in una tarda mattinata molto ventosa.
Ne scrivo qui su RPN perché questo è proprio un libro da nerds, da sound nerds. In verità si tratta di due racconti, ma mi soffermo principalmente sul primo perché è quello che mi ha scatenato tutti questi pensieri.
La storia racconta di un produttore discografico che sta lavorando ad un suo progetto di suoni ambientali per ridurre lo stress di chi li ascolta. Ma, discutendo con un collega molto esperto, si rende conto che proprio quelle frequenze che rilassano non possono essere riprodotte dai dispositivi digitali.
Fra tecnicismi e sounds siamo immersi completamente in un ecosistema di suoni, che mescolandosi alle allucinazioni uditive del protagonista, gli risvegliano la consapevolezza che nel mondo reale, fuori dal digitale, sono i rumori impercettibili a trasmettere pulsioni a noi essere viventi.
Passiamo gran parte del nostro tempo senza rendercene conto, ma l’esperienza della vita è composta di pensieri, parole non dette, suoni bisbgliati, piccoli errori in quello che ci circonda. Questo libro è ambientato (credo) prima dell’avvento dell’intelligenza artificiale, ma mi ha fatto pensare anche alla sensazione di estraniamento che spesso proviamo davanti a qualcosa di generato artificialmente. Ciò che manca è proprio l’invisibile. Quello che ancora le macchine non sono in grado di concepire e/o di riprodurre ma che per noi è fondamentale per sentirci vivi.
Insomma che leggendo in giardino ho iniziato anche io ad attivare automaticamente le orecchie, agevolata da una brezza marina che, sfiorando tutto quello che avevo attorno, produceva un’infinità di suoni interessanti.
Non credo di essere stata abbastanza brava per srotolare tutta questa matassa di pensieri che hanno risvegliato questi racconti. Ma, mi ripeto, quello che ne ho ricavato io è che ciò che esce fuori dalla media della percezione umana è ciò che rende reale il mondo. Anche per quanto riguarda le relazioni: ci sono cose a cui non riesci a dare una forma ma che influenzano il nostro benessere.
Vi lascio un’immagine che per me è geniale e che riassume tutto ciò che amo dell’arte:
Bruce Nauman, A cast of the space under my chair, 1965-1968 (© Kröller-Müller Museum)

Questo libro è così. Leggetelo se volete sentire un blocco di marmo sullo stomaco.
Posto anche un video dove non si sente un cazzo del vento che volevo raccontarvi. Che fail, lo so.
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