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Captain America: Brave new world

Pronti per la recensione di uno dei film più attesi dell'anno?

Attenzione: contiene (pochi) spoiler su un film molto prevedibile.

Un compitino senza infamia e senza lode. Un 6 risicato. Tanto vale Captain America: Brave new world. Nessun colpo di scena, nessuna svolta imprevista: se avete visto il trailer sapete già esattamente chi sono i cattivi, cosa accadrà nel film, e avrete anche una buona idea di come andrà a finire. Tutto è prevedibile, sin dalle prime battute. Ci sono un paio di occasioni perdute in cui il film avrebbe potuto prendere una virata temeraria, sorprendere lo spettatore, e condurre l’universo Marvel verso direzioni un po’ più cupe. Ma se anche Captain America vive in a brave new world, il film è tutt’altro che coraggioso.

Lo scopo della storia è introdurre l’adamantio nel Marvel Cinematic Universe (Mcu) e, forse, dar qualcosa da fare al nuovo Capitan America. Per questo motivo, chi segue il filone dei supereroi Marvel non può non vedere il film, e tanto vale farlo al cinema, almeno per godere di un paio di scene d’azione che meritano. Viene da chiedersi per quanto a lungo reggerà il giochino del sunken cost, di vedere un film mediocre nella speranza che la saga nel suo complesso sia migliore o che almeno ci sia qualche singola perla. Detto ciò, il complimento migliore che si possa fare a Captain America: BnW è che non insulta l’intelligenza dello spettatore come aveva fatto Ant-Man: Quantumania, ma di certo non sarà il film che risolleva il Marvel Cinematic Universe. A giudicare dai trailer a venire, i Thunderbolts si avvia sulla stessa strada, mentre tutte le speranze sono riposte nell’arrivo dei Fantastici Quattro.

Il delitto peggiore del film è che non c’è nessuna posta in gioco. Qualsiasi sembianza di piano malvagio ordito dai cattivi di turno è evidentemente priva di conseguenze, e non per l’intervento degli eroi, ma by design. Sidewinder, interpretato da Gustavo Fring, è poco più di un carismatico sicario le cui motivazioni sono completamente assenti dalla trama. Il Capo ha il potere di prevedere anche quanti cereali cadranno fuori dalla tazza di latte al mattino, ma non ha nessuna intenzione di applicarlo alle prevedibilissime azioni degli eroi (segnando uno dei rari casi in cui gli spettatori, evidentemente, sono più potenti dell’antagonista del film).

E Red Hulk, beh, è fatto bene, con più peso e possenza delle recenti produzioni in CG dei Marvel Studios, ma il vero problema è il tempismo. Vedere un Presidente degli Stati Uniti che scatena distruzione insensata sui concittadini sarebbe stato più divertente se nel mondo reale non stesse succedendo di molto peggio. E alla fine dei conti, nel confronto, un Harrison Ford allo Studio Ovale nei panni di un Presidente ipocrita e criminale sì, ma anche solo vagamente capace di emozioni umane, e in cerca di dialogo con le controparti internazionali su temi di importanza globale, risulta più confortevole (e quasi nostalgico) rispetto a quel che ci tocca sorbirci ogni giorno sulle notizie di politica americana. E rende quindi più difficile apprezzarlo come villain sul grande schermo.

La morale della storia? Forse non è quella che i Marvel Studios avrebbero voluto impartire, ma tant’è: Red Hulk, alla fine, sarebbe un Presidente migliore di quello che oggi siede alla Casa Bianca. 

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